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Enrico Summonte

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In memoriam
Pubblicato sulla rivista “La Cartellina”, ottobre 1985

Si è spento improvvisamente, lunedì 7 ottobre, Enrico Summonte, direttore del Coro delle 9 di Pescara e presidente dell’Associazione Cori d’Abruzzo.

Nato a Luttange, in Lorena nel 1926, di professione architetto, aveva studiato musica a Roma, città in cui era maturata la sua esperienza corale e polifonica sotto la guida di Luigi Colacicchi, direttore del “Coro dell’Accademia Filarmonica romana”, di cui Summonte fu anche apprezzato cantore.
Passato a far parte, successivamente, del “Coro polifonico romano”, nel 1959 si trasferì a Pescara ove, nel 1964, fondò il “Coro delle 9” con lo scopo di studiare e diffondere la polifonia sia del passato che contemporanea in un contesto culturale ch’era necessario educare all’esperienza e alla pratica della musica corale. In quasi vent’anni di attività, sono stati più di trecento i concerti da lui tenuti in Italia e all’estero, in teatri, circoli, scuole, chiese, concorsi, rassegne e festivals e sempre il “Coro delle 9”, sotto l’esperta e intelligente guida di Enrico Summonte, aveva conseguito risultati artistici significativi.

Negli ultimi tempi, tuttavia, le sue maggiori energie erano indirizzate all’organizzazione degli “Incontri Polifonici”, fondati nel 1979 per portare nel capoluogo abruzzese e in tutta la regione, l’esperienza musicale dei gruppi corali più rappresentativi, italiani e stranieri, attraverso una manifestazione musicale divenuta in brevissimo tempo una delle più prestigiose e importanti del nostro paese.

La morte lo ha colto il giorno seguente la conclusione degli “Incontri” di quest’ultimo anno, che lo aveva veduto perennemente sulla breccia, incurante delle proprie sofferenze dovute al male ch’egli coraggiosamente nascondeva agli amici. Minimizzava le sue afflizioni, quasi ridendone, per infondere agli altri quel coraggio e quella forza di cui sembrava non aver bisogno perché eran doti connaturate alla sua persona.

La redazione de “La Cartellina”, commossa profondamente per la perdita di così grande e cordiale amico, si stringe accanto alla famiglia di Enrico Summonte assicurandola della propria perenne riconoscenza e del proprio immutabile affetto.

Per Enrico, 5 ottobre 1986
di Giovanni Acciai

Un anno fa, il giorno seguente la conclusione degli INCONTRI POLIFONICI 1985, Enrico Summonte moriva improvvisamente. Incurante delle sofferenze dovute al male che da qualche tempo lo affliggeva e che con forza caparbia nascondeva a tutti coloro che gli erano accanto, egli ha lottato fino all’ultimo istante della sua vita generosissima per portare nella sua città e in tutto l’Abruzzo i valori grandi ed esclusivi della cultura musicale attraverso quel veicolo straordinario di comunicazione civile e sociale che èil far musica insieme cantando.

Enrico amava la terra vergine e le regioni inesplorate. Ma non era un colonizzatore, non aspirava a personali egemonie di potere, non cercava privilegi, e fuggiva dal perverso rotabilato intellettuale di chi può tutto e non fa mai nulla, così diffuso nel nostro paese. Era invece un appassionato ed instancabile civilizzatore che moltiplicava le sue iniziative, smuoveva le dure zolle dell’immobilismo culturale e intellettuale e seminava, dava vita, infondeva energia lì dove regnava passività e insipienza.

Quando nel 1959 si trasferì a Pescara, facendo di questa giovane città la sua terra d’elezione, cerc˜ subito di diffondere fra la gente l’amore per la polifonia, per questo esclusivo modo di far musica assieme che è anche sinonimo di cultura intesa come capacità umana, come occasione di dare valenza sociale al nostro inguaribile individualismo. Egli era ben consapevole delle difficoltà che tale intervento portava con sé, in un contesto sociale e culturale fino ad allora vissuto ai margini, per non dire addirittura fuori, da espressioni, meglio esperienze musicali di questo genere. La città di Pescara non era in questo senso tanto distante dal “Coro delle 9” fondato da Enrico Summonte nel 1964, cui egli dedicò subito tanta generosa e intelligente attenzione. Una città musicalmente da svezzare, un coro da istruire; un tessuto umano da nutrire, da condurre piano piano alla consapevole comprensione del sapere musicale e, insieme, consuetudine da sottrarre all’asfissia dell’algido strapotere burocratico, strutture da bonificare se non da inventare ex-novo.

Enrico Summonte era un’animatore infaticabile e in direzioni sempre nuove; non un rigido amministratore di patrimoni già accumulati, per lui insignificanti, ma un ricercatore di vie e soluzioni nuove. Ed è proprio per questo che per tutto quanto egli ha fatto in Pescara e in Abruzzo, l’agire suo era caratteristico, assoluto, esclusivo. Chi verrà dopo di lui non potrà continuare, dovrà ricominciare da capo poiché qest’uomo dalle idee così precorritrici e nuove ha terminato l’opera sua mirabile là dove hanno inizio i limiti altrui. Poiché soltanto è difficile se non impossibile reperire un’équipe umana capace di dare continuità e respiro alle sue vulcaniche iniziative (basti pensare soltanto agli INCONTRI POLIFONICI, al CORO DELLE 9, all’ASSOCIAZIONE CORI DELL’ABRUZZO di cui egli era l’animatore e il propulsore infaticabile) ma è pressocché proibitivo il compito di chi tenterà in qualche modo di ricostruire il tessuto connettivo che tutte queste istituzioni teneva assieme; lo spirito crociato e la forza d’urto, la volontà personale e la competenza professionale di un uomo cui tutta la realtà appariva nella cifra inconfondibile dell’energia corale.

Tra i suoi sforzi, ruotanti in orbite tutte autonome e tutte intersecantesi, dalla prestigiosa attività professionale (il rinomato architetto) all’animazione culturale sul territorio, eccelleva sicuramente la pratica inesausta di istruzione e direzione del Coro.

In questo anno ormai passato, vedova della sua rassicurante presenza, la mente, più calma dopo lo sgomento di quei giorni, misura il vuoto che è rimasto e scopre con gioia che è un vuoto di bellezza e di fiducia, di incoraggiamento e di speranza. Come una cometa, Enrico si è dissolto in mille braccia aperte e trascinanti. Con lui – è vero – un periodo magico, glorioso, irripetibile di vita culturale pescarese è finito, si è chiuso come in un cerchio. Ciò che è rimasto dentro a questo cerchio luminosissimo è una ricchezza sconfinata, un viatico prezioso che non può e non deve andare disperso. Una lezione morale, quella di Enrico, che per chi non la sa leggere porta tanto alla speranza quanto alla disperazione, se è vero che siamo solo una goccia d’acqua nel fiume continuo della vita. Una lezione che, se non altro, dà il giusto senso del “poco che siamo” ma del “grande che possiamo essere per gli altri”.

La scomparsa di Enrico ci ha dunque insegnato che allontanarsi dalla vita non è qualcosa di terribile ma il momento insostenibile in cui più dolce e intenso si fa il flusso d’amore che unisce coloro che veramente si amano. Che tutto questo sia il desiderio di sopravvivenza, una traccia per la memoria di chi non si arrende alla perdita del mondo e vuole sentirsi vivere nel ricordo dei suoi cari o sia, per converso, l’angoscia di chi rimane e vuole credere esistente ciò che invece è irrimediabilmente perduto; tutto questo Enrico ci ha insegnato allontanandosi da noi. Per chi non lo conosceva bene, a prima vista la sua scorza poteva sembrare un po’ ruvida; la sua anima troppo vulnerabile aveva bisogno di questa protezione. Ma, nell’intimo, Enrico era uno degli uomini più caldi, più affettuosi, più preoccupati del bene altrui, e più grandi che ci sia stata offerta occasione di conoscere e di esserne fraterni amici.

Cos“ allora vogliamo e dobbiamo ricordarlo, senza clamori esteriori e magniloquenti retoriche; vogliamo e dobbiamo rendergli grazie per quanto ha fatto per noi attraverso quel canto, il canto polifonico, che egli aveva così intensamente amato fino a farne l’unica ragione di vita e che, per primo, egli era riuscito a far conoscere a Pescara, a far risuonare fra queste mura evocatrici di tesori d’arte d’irripetibile bellezza e, quel che più conta, egli era riuscito a far rispettare, godere e, dunque, ad amare.


Letto da Giovanni Acciai nel 1986, alla “Collegiata” di Città S. Angelo, in occasione del Concerto a Cori Riuniti della VIII edizione degli Incontri Polifonici di Pescara, in coincidenza col primo anniversario della sua morte.